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Tasso

Armida e Rinaldo

La sfida è improba, ma va tentata, sui testi, perché è la sfida della critica, la nostra sfida, per cui dobbiamo continuare a formarci: l’analisi del testo che può incrociare, avviluppare e assimilare, in uno stesso movimento, tutte le altre analisi (storica, filosofica, sociologica, ecc.). Nello specifico, per ragioni di tempo e di opportunità, dovremo analizzare le variazioni su uno stesso tema, in tre testi poetici, di altrettanti campioni della letteratura italiana, appartenenti a tre secoli, fra loro, seppur differenti e discontinui, contigui.

Il tema, o meglio l’oggetto dei componimenti è la natura in rapporto all’arte. I tre campioni sono Torquato Tasso (Sorrento, 1544-Roma, 1595), Giovan Battista Marino (Napoli, 1569-1625) e Giuseppe Parini (Bosisio – Mi -, 1729-Milano, 1799). I secoli sono il Cinquecento, il Seicento e il Settecento. I testi che prenderemo in esame sono celeberrimi: le ottave 9-15 del XXVI canto della Gerusalemme liberata (1581) di Tasso, le ottave 32-39 dell’Adone (1623) di Marino, l’ode La salubrità dell’aria (1729) di Parini.

È possibile mettere a confronto testi di autori fra loro così diversi e distanti? Se una possibilità esiste, dalla comunanza dell’oggetto e della sua storia culturale. La natura, in effetti, fra Cinquecento e Seicento diventa oggetto dell’indagine scientifica sperimentale. Read More

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La poetica di Torquato Tasso emerge, fra gli altri, dai suoi Discorsi dell’arte poetica, composti fra il 1562 e il 1564, pubblicato nel 1587. Leggi il passo seguente su “Unità e varietà del poema eroico”: «Né già io niego che la varietà non rechi piacere; oltre che il negar ciò sarebbe un contradire a la esperienza de’ sentimenti, veggendo noi che quelle cose ancora, che per sé stesse sono spiacevoli, per la varietà nondimeno care ci divengono; e che la vista de’ deserti, e l’orrore e la rigidezza de le alpi ci piace doppo l’amenità de’ laghi e de’ giardini; dico bene, che la varietà è lodevole sino a quel termine, che non passi in confusione; e che sino a questo termine è tanto quasi capace di varietà l’unità, quanto la moltitudine de le favole: la qual varietà se tale non si vede in poema d’una azione, si deve gredere che sia più tosto imperizia de l’artefice, che difetto de l’arte; i quali per iscusare forse la loro insofficienza, questa lor propria colpa a l’arte attribuiscono. Non era per aventura cosí necessaria questa varieta a’ tempi di Virgilio e d’Omero, essendo gli uomini di quel secolo di gusto non cosí isvogliato: però non tanto v’attesero, benché maggiore nondimeno in Virgilio che in Omero si ritrovi. Read More