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Grammatica

Dal 480 a.C. la vittoria delle guerre persiane in Grecia si creano molteplici possibilità per conquistare potere politico e prestigio culturale. Nel 465 a.C. i Siracusani, che hanno cacciato i tiranni, intentano numerose cause per recuperare i debiti. È in questo contesto che nasce la retorica, l’arte di persuadere con il discorso.

La presentazione si può scaricare in PDF qui: La nascita della retorica.

 

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Cos’è la punteggiatura? A cosa serve? Come si usa?

Prendiamo la definizione che ne dà Luca Cignetti nell’Enciclopedia dell’Italiano (2° volume, Treccani, 2011).

«La punteggiatura (lat. interpunctio) è un sistema di segni convenzionali impiegato nello scritto per segnalare le relazioni logiche e sintattiche tra le diverse parti della frase, le pause della lettura e rendere più chiaro il significato complessivo del testo.»

Le virgole, i punti e virgola, i punti, ecc. sono quindi segni, come le lettere dell’alfabeto. Segni che servono a segnalare qualcosa.

Cosa significa che sono convenzionali?

I segni della punteggiatura, come le lettere, segnalano qualcosa per convenzione, cioè per un patto fra chi scrive e legge.

La virgola, per esempio, in latino non esisteva. Per segnalare un nesso tra la sezione minore del discorso e le altre si usava un punto di un certo tipo, detto in latino subdistinctio.

A cosa servono?

  1. Servono a segnalare le relazioni logiche e sintattiche tra le diverse parti della frase
  2. Servono a segnalare pause della lettura.
  3. Servono a rendere più chiaro il significato complessivo del testo.

Assumendo questo semplice schema, il punto fermo serve a indicare:

  1. il cambio di argomento tra un periodo e l’altro.
  2. una pausa forte nella lettura.
  3. il diverso significato dei vari periodi in cui è strutturato il testo.

Il punto e virgola serve a indicare:

  1. il cambio di forma tra un periodo e l’altro, ma non di contenuto;
  2. una pausa intermedia tra la virgola e il punto fermo;
  3. gruppi di parole con significato simile in un elenco.

CONTINUA…

Ho appena postato su Facebook, nel gruppo pubblico “La lingua batte” dell’omonima trasmissione di Rai Radio 3 curata dal linguista Giuseppe Antonelli, il seguente quesito:

«Allontanarsi è un verbo riflessivo: allontanare se stessi. Alzarsi pure: alzare se stessi. Abbandonarsi alla tristezza: abbandonare se stessi alla tristezza. Non vedo differenze sostanziali con lavarsi: lavare se stessi. Perché i primi due verbi da Dardano-Trifone e il terzo (abbandonarsi) da AntonelliPicchiorri sono collocati fra i verbi transitivi che per la presenza del pronome atono diventerebbero “intransitivi pronominali”? Il trattamento di questo fenomeno verbale mi sembra un punto debole di gran parte delle grammatiche. Sensini parla di “forma media” per verbi, come i primi tre, in cui «il soggetto svolge un ruolo intermedio tra l’attivo e il passivo», però non rinuncia a contraddirsi indicandoli anche con la dicitura “intransitivi pronominali”. È possibile fare chiarezza su questo punto?»

Non appena avrò raccolto risposte sufficienti a chiarire la questione, scriverò un articolo qui, nel blog.

lavagna magicaL’ora suonò. Le matricole si precipitarono fuori dall’aula. La spiegazione di grammatica, però, non era finita: lo schema sul rapporto che esiste tra i tempi verbali, nella lingua italiana, non era completo. Quindi, la comprensione non sarebbe stata possibile, allora decisi di completare lo schema. La foto che vedete è il frutto di un’ora di lavoro aggiuntivo. Grazie al collaboratore che ha rinunciato a pulire subito l’aula, cancellando la lavagna, e alla collega, che mi aiutò.

I più esperti sapranno che lo schema riguarda l'”aspetto” dei tempi verbali, ma ho preferito non nominare questo termine tecnico: sarà oggetto di una prossima lezione.