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Esercizi

Oltre che per l’umorismo nero, un «umorismo ghignante a volte irresistibile», con cui il regista Quentin Tarantino «sdrammatizza le situazioni più truci» (Il Mereghetti. Dizionario dei film), oltre per i dialoghi tanto assurdi quanto memorabili e per l’ottima direzione degli attori, Pulp Fiction è entrato nella storia del cinema per il «perfetto gioco d’incastri» (ibidem), ovvero il sapiente intreccio, con cui il regista, che è anche sceneggiatore del film, ha saputo montare la fabula.

A prima vista, questo gioco d’incastri non rivela facilmente il segreto della sua perfezione, ma se trattiamo il film come un qualsiasi testo (dal latino texĕre «tessere») e lo smontiamo, individuando la serie ordinata di scene che lo compongono, come per magia l’ordito (fabula) si rivelerà sotto la trama (intreccio).

Intreccio Fabula
Scene:

1 Coffe shop

2 Vincent e Jules

3 La valigetta

4 L’accordo

5 Lo spacciatore

6 Mia

7 Il ballo

8 Overdose

9 Salvataggio

10 L’orologio

11 Fabienne

12 Distrazione

13 Morte di Vincent

14 Al semaforo

15 La violenza

16 La vendetta

17 Miracolo

18 L’errore

19 Jimmie

20 I rinforzi

21 Wolf

22 A colazione

23 La rapina

24 Finale

Scene:

2 Vincent e Jules

3 La valigetta

17 Miracolo

18 L’errore

19 Jimmie

20 I rinforzi

21 Wolf

22 A colazione / 1 Coffe shop

23 La rapina

24 Finale

4 L’accordo

5 Lo spacciatore

6 Mia

7 Il ballo

8 Overdose

9 Salvataggio

10 L’orologio

11 Fabienne

12 Distrazione

13 Morte di Vincent

14 Al semaforo

15 La violenza

16 La vendetta

 

 

 

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Le sequenze narrative: dalla letteratura alla pittura

Ascolta la novella di Giovanni Boccaccio Nastagio degli Onesti (qui).

Segui il testo scritto (qui).

Nel libro Interminati spazi a, leggi l’analisi dei quadri di Sandro Botticelli, dedicati alla novella, nel pdf “La scomposizione del testo in sequenze” (trovi gli stessi materiali qui, nella sezione “Immagini per capire” della pagina dedicata al libro “Interminati spazi”).

Analizza, individuandone lo schema narrativo, il seguente racconto di Ernest Hemingway (1899-1961). Se necessario, prima visita la pagina dedicata qui.

Vecchio al ponte

Seduto su un lato della strada c’era un vecchio con gli occhiali dalla montatura metallica e gli abiti molto impolverati. Sul fiume c’era un ponte di barche, e car­retti, camion, uomini, donne e bambini  che l’attraversavano. I carri tirati dai muli stentavano a salire l’argine ripido del fiume, ed i soldati aiutavano spingendo i raggi delle ruote. I camion mordevano la strada allontanandosi veloci; i contadini marciavano faticosamente nella polvere, alta fino alle caviglie.Ma il vecchio se ne stava seduto senza muoversi. Era troppo stanco per andare avanti. Io avevo l’incarico di passare il ponte, perlustrare la zona retrostante ed accerta­re fino a che punto fosse venuto avanti il nemico. Lo feci, e tornai al ponte. C’erano ora meno carriaggi e poca gente a piedi; ma il vecchio era ancora là.

– Da dove venite? – gli chiesi.

– Da San Carlos – disse lui, e sorrise.

Era il suo paese natale e gli faceva piacere nominarlo. Per questo sorrise.

– Badavo alle bestie – spiegò.

– Oh – dissi io. Ma non capivo bene.

–  Sicuro – disse lui. – Ero rimasto là, capite, per badare alle bestie. Sono stato l’ultimo a lasciare San Carlos.

Non aveva l’aria d’un pastore né d’un mandriano; io guardai gli abiti neri e pol­verosi, la faccia grigia e coperta di polvere, gli occhiali dalla montatura metalli­ca, e dissi: – Che bestie erano?

– Diverse bestie – disse egli, e scosse il capo. – Ho dovuto lasciarle.

lo guardavo il ponte e il paesaggio del delta dell’Ebro, un paesaggio che sembra­va Africa, e mi chiedevo fra quanto tempo avremmo visto i nemici, ero in atte­sa dei primi rumori che avrebbero annunciato quel misterioso avvenimento che si chiama contatto; ed il vecchio era seduto là.

– Che bestie erano? – chiesi.

– Tre specie di bestie – il vecchio spiegò. – Due capre, un gatto e quattro paia di piccioni.

– E avete dovuto lasciarle? – chiesi.

– Sì. Per l’artiglieria. Il capitano mi ha detto di andarmene, per causa dell’arti­glieria.

–  E non avete famiglia? – io chiesi, e guardavo l’altra estremità del ponte dove gli ultimi pochi carri discendevano in fretta la scarpata dell’argine.

–  No – egli disse. – Soltanto le bestie che ho detto. Il gatto naturalmente se la caverà. Un gatto sa badare a se stesso, ma non so cosa sarà delle altre.

– Di che idea politica siete – chiesi.

– Non ho idee politiche – disse il vecchio. – Ho settantasei anni. Ho fatto dodi­ci chilometri e credo di non poter andare più avanti.

– Questo non è un posto buono per fermarsi – io dissi. – Se ce la fate ad arriva­re fin là, al bivio per Tortosa passano dei camion.

– Aspetterò ancora un poco – egli disse – poi ci andrò. Dove vanno i camion?

– Verso Barcellona – dissi io.

– Non conosco nessuno da quelle parti – disse lui – ma grazie molte. Di nuovo molte grazie.

Mi guardò con aria stanca indifferente, poi, dovendo dividere la sua pena con qualcuno, disse: – II gatto se la caverà, ne sono sicuro. Non c’è ragione di stare in pensiero per il gatto. Ma le altre bestie. Voi cosa credete che sarà delle altre bestie?

– È probabile che se la cavino benissimo anche loro.

– Credete?

– Perché no? – dissi, e guardavo la riva opposta dove non c’erano più carri,

– Ma come faranno sotto il tiro dell’artiglieria, quando a me per causa dell’artiglieria hanno detto di andarmene?

– Avete lasciata aperta la gabbia dei colombi? – dissi. -Sì.

– Allora voleranno via.

– Certo, voleranno via. Ma le altre? È meglio che non pensi alle altre.

– Se vi siete riposato, io al vostro posto mi avvierei – gli feci fretta. – Alzatevi e cercate di camminare.

– Grazie – disse e si alzò in piedi, oscillò su un fianco e sull’altro, poi rie sedere nella polvere.

– Badavo alle bestie – disse con voce monotona, non più rivolto a me. – Eros lo uno che badava alle bestie.

Non c’era niente da fare con quel vecchio. Era il giorno di Pasqua, e i fascisti stavano avanzando verso l’Ebro. Era una giornata grigia, con un soffitto di nuvole  basse, e perciò non c’erano aeroplani. In questo fatto, e nel fatto che i gatti sanno sempre badare a se stessi, consisteva tutta la fortuna che quel vecchio poteva aspettarsi di avere.

Ernest Hemingway, Vecchio al ponte, in Quarantanove racconti (1938)