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Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785, dal matrimonio di Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria (tra i massimi rappresentanti dell’Illuminismo europeo, autore del saggio Dei delitti e delle pene), con un gentiluomo di lei molto più anziano, il conte Pietro Manzoni. Secondo una diceria, ripresa spesso dai biografi, in realtà Manzoni sarebbe nato dalla relazione extraconiugale della madre con Giovanni Verri, minore dei fratelli Verri, esponenti di spicco dell’Illuminismo milanese. A causa dei dissidi fra i genitori e del disinteresse della madre, fu educato in collegi cattolici, a Merate, Lugano e Milano.

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I manuali scolastici di letteratura, filosofia, storia e altre materie simili hanno lo stesso problema dei programmi informatici: si presentano con un aspetto fittizio, un’interfaccia illusoria.

Il manuale riduce la complessità dell’opera autoriale in brani esemplificatori, il programma riduce la complessità del codice in una serie di operazioni eseguibili da chiunque.

Il manuale e il programma non rivelano la verità del codice, che esso sia l’opera nella sua scrittura cifrata o la sorgente del programma nel suo linguaggio di programmazione.

Il manuale e il programma non ci dicono cosa il codice intendesse significare, quale percorso logico segue, ma ne danno un’interpretazione utilitaristica. Il manuale e il programma informatico sono orientati all’utente. Facilitano l’uso ma non educano la mente alla conoscenza dialettica, al pensiero critico.

Chi ha una laurea nella materia che insegna, deve essere in grado di smontare il manuale scolastico e servirsene come uno dei tanti strumenti per condurre chi apprende nel cammino della conoscenza dialettica, fornendogli il metodo critico. Lo stesso deve poter fare con i programmi che usa per insegnare a leggere, scrivere, calcolare, ecc. Deve conoscere il linguaggio di programmazione e avere a disposizione programmi open source, con codice aperto, per avere la possibilità di modificarlo e poterne illustrare il funzionamento a chi apprende.

È fondamentale conoscere le opere che si insegnano nella loro interezza e complessità (avvalendosi dei testi universitari che continuano a eplorarla oltre che dei manuali che la antologizzano), tanto quanto è necessario conoscere i linguaggi di programmazione. Se nel primo caso dovremmo essere attrezzati, tutti noi insegnanti, nel secondo dobbiamo pretendere di esserlo.

In Italia, durante il periodo del Decadentismo, che va dal 1880 al 1900, nell’accezione ristretta, o dal 1880 al 1945, nell’accezione estesa, si affermò la figura del poeta “vate”, in particolare con Gabriele D’Annunzio, il Vate per eccellenza. Anche se non fu il primo né l’unico. Analizzeremo questa figura letteraria così come si configura in Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio e Annie Vivanti, iniziando dai primi due. Prima però facciamo un passo indietro.

Chi è il poeta vate? Breve excursus dall’antichità alla modernità

Il termine vate deriva dal latino vates, che ha la stessa radice di vaticinio, profezia. Il vate, quindi, è il profeta. Che c’entrano le profezie con la poesia? Innanzitutto, in origine poesia e religione non erano distinte, le profezie erano pronunciate e trascritte in versi. In particolare, il poeta è un vate perché è un tramite fra la divinità e l’umanità, è un sacerdote in grado di ingraziarsi gli dèi per condizionare il destino, il fato del suo popolo.

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Trascrivo un brano del romanzo di Grazia Deledda, Canne al vento (1913). lI servo Efix, protagonista dell’opera, si abbandona a una fantasticheria gotica (tipica del tardo romanticismo), che è anche una spia degli interessi etnografici (si veda il riferimento alle panas) dell’autrice. Inoltre è evidente il suo superamento del verismo in direzione di quell’attenzione morbosa agli stati patologici, ossessivi e di quella mescolanza con il fantastico che sono le cifre distintive del Decadentismo europeo (si pensi al patto diabolico di Dorian Grey). Il fatto che il romanzo sia del 1913 conferma la tesi, sostenuta da alcuni studiosi, che il Decadentismo proseguì oltre il 1900, pur essendo stato il ventennio 1880-1900 il suo periodo d’oro, mentre la tendenza tipica del primo Novecento fu il Modernismo.

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In teoria della letteratura, è detta intertestualità la rete di relazioni che il singolo testo ha con altri testi dello stesso autore (intertestualità interna) o con modelli letterarî impliciti o espliciti (interstualità esterna), sia coevi sia di epoche precedenti.» (Treccani)

Un esempio di intertestualità esterna è la rete di relazioni che i Canti di Leopardi hanno con il Canzoniere di Petrarca.

L’intertestualità interna, considerando l’intero corpus di testi dello stesso autore come un’unica opera omnia, può essere definita anche intratestualità. In genere, però, l’analisi intratestuale si riferisce all’analisi di strutture lingustiche all’interno di una singola opera dell’autore.

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La presente scheda, seppur integrata con ulteriori fonti, è tratta dal sito della Zanichelli.

Nei suoi Saggi di linguistica generale (1966), Roman Jakobson, ispirandosi alla teoria matematica della comunicazione di Shannon e Weaver, formulò una teoria della comunicazione che schematizza il processo linguistico e ne identifica gli elementi fondanti, ovvero quei fattori chiave che ricorrono in ogni forma di interazione umana, senza i quali non avviene nessuna comunicazione.

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