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Storia greca

«Prends l’éloquence et tords-lui son cou!» (Prendi l’eloquenza e torcile il collo!) prescrisse Paul Verlaine nella sua Ars poétique (Arte poetica), scritta nel 1872 e pubblicata postuma nel 1882.

Eloquenza è un sinomino di retorica, ovvero «L’arte e la tecnica di parlare o scrivere con efficacia, in modo da persuadere e commuovere gli uditori o lettori» (Treccani). L’imperativo di Verlaine suggella la fine di una battaglia contro la retorica, inziata dal movimento romantico.

Ora, mentre stavo riascoltando la videolezione che creai durante il primo confinamento (il 3 aprile 2020) sulla nascita della retorica, mi è sorto un dubbio, che forse potrà sciogliere chi avrà letto questo articolo.

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Nel 2017 il professore di scienze politiche di Harvard Graham Allison pubblica il libro Destined for War: Can America and China Escape Thucydides’s Trap? La “trappola di Tucidide” è la metafora usata da alcuni storici contemporanei per indicare la paura, determinata dall’espansionismo di Atene, che condusse Sparta a scatenare la Guerra del Peloponneso: “Ciò che ha reso inevitabile la guerra è stata la crescita del potere ateniese e la paura che ciò ha causato a Sparta”, affermò Tucidide nel suo libro Guerra del Peloponneso. La metafora è stata usata, dunque, per analizzare la tensione tra Stati Uniti e Cina. E ora viene usata per spiegare la nuova invasione dell’Ucraina da parte della Russia, su vari giornali italiani (qui e qui).

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Scrive Tucidide: «Minosse infatti fu il più antico di quanti conosciamo per tradizione ad avere una flotta e a dominare per la maggior estensione il mare ora greco, a signoreggiare sulle isole Cicladi e a colonizzarne la maggior parte dopo aver scacciato da esse i Cari e avervi stabilito i suoi figli come signori. Ed eliminò per quanto poté la pirateria del mare, come è naturale, perché meglio gli giungessero i tributi. Giacché i Greci anticamente e, tra i barbari, quelli che sono costieri e abitano nelle isole, da quando avevano cominciato ad attraversare più frequentemente il mare per recarsi gli uni dagli altri, si erano dati alla pirateria* sotto la guida dei più abili, in cerca di guadagno per sé e di nutrimento per i più deboli. E, assalendo le città che erano senza mura e disperse in villaggi, le saccheggiavano e così si procuravano la maggior parte dei loro mezzi di sussistenza, senza ancora vergognarsi di questo modo di agire, il quale anzi portava loro perfino una certa gloria. Anche ora lo dimostrano alcuni popoli della terraferma, per i quali è un onore esercitare con successo la pirateria, e lo dimostrano gli antichi poeti nelle domande che senza eccezione facevano rivolgere dappertutto a coloro che sbarcavano, vale a dire se erano pirati. Giacché gli uni non respingevano come indegno quel fatto di cui gli altri li interrogavano e gli altri, che avevano interesse a sapere questa cosa, non la biasimavano. Ma anche in terra praticavano reciprocamente la pirateria, e anche ora in molte parti della Grecia si vive alla maniera antica, presso i Locresi Ozoli, gli Etoli, gli Acarnani e i paesi di terra ferma situati da quelle parti. A questi popoli continentali è rimasta, dall’antica abitudine alla pirateria, l’abitudine di andare armati.» (Tucidide, La guerra del Peloponneso, I, 4-5, trad. di Claudio Moreschini, in Erodoto, Storie, Tucidide, La guerra del Peloponneso, BUR, Milano 2008).

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Siamo arrivati alla fine del programma di Storia Geografia e Cittadinanza in prima. Dopo avere terminato lo studio della storia greca con lo studio dell’ellenismo, abbiamo iniziato l’ultima unità didattica sulle origini di Roma. Quando abbiamo studiato le civiltà italiane ed europee dal neolitico all’età del ferro, una studentessa mi ha chiesto: “Prof, ma eravamo arrivati ai greci, ora torniamo indietro?”.

Sì, siamo tornati indietro per studiare la storia di Roma. E non solo studiare le origini di Roma ci ha obbligato a passare dal IV secolo a.C. al VI millennio a.C., ma tutta la storia di Roma, anche quando diventerà la dominatrice del Mediterraneo, rappresenta un ritorno indietro, un regresso, se non altro a livello culturale, rispetto alle scoperte operate dai grandi sapienti che operarono nella Biblioteca di Alessandria, a partire dalla fine del IV secolo a.C. Leggiamo, a questo proposito, cosa scrive Bruno Arpaia nel suo romanzo Qualcosa, là fuori (Guanda, 2016).

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