Elsa Morante e la Storia dell’animale
Elsa Morante è una delle più importanti narratrici italiane del secondo Novecento, tradotta negli Stati Uniti e in altri paesi del mondo, vincitrice del Premio Viareggio con il suo primo romanzo, Menzogna e sortilegio (1948), a parimerito con Aldo Palazzeschi, prima donna a vincere il Premio Strega con il romanzo L’isola di Arturo (1957), autrice del grande romanzo La Storia (1974) e di Aracoeli (1982), che chiude la quadrilogia dedicata ai rapporti familiari, in particolare madre-figlio (L’isola di Arturo, La Storia, Aracoeli) o madre-figlia (Menzogna e sortilegio). A dimostrazione dell’ampiezza e dell’ecletticità delle sue ricerche, nonché del suo legame con una tradizione tardo-romantica che rimonta a Baudelaire e ai poètes maudits, nel 1968 Morante pubblicò Il mondo salvato dai ragazzini, un’opera polimorfa, contenente poesie, canzoni, favolette morali e un testo teatrale, La commedia chimica, ispirata alle sue sperimentazioni con l’LSD e altre sostanze psichedeliche. Cesare Garboli scrisse di lei: «la verità, la concretezza, il mistero della realtà avevano bisogno, per parlarle, per farsi ascoltare da lei, di raccogliersi intorno a un fuoco e di farsi trascinare dall’immaginazione come da una grande forza mistica, simile a un’allucinazione e a una droga» (Elsa Morante, Opere, 2 voll., a cura di Cesare Garboli, Mondadori, Milano 1988-1991).
Per ricollegarci al realismo dionisiaco di Furore, ci soffermeremo sulle pagine finali del romanzo in cui Morante, descrivendo la capanna trovata da Useppe lungo il fiume, riecheggia le pagine dedicate da Steinbeck alle case abbandonate dai mezzadri e popolate di animali, le quali esercitano quel fascino tipico del pittoresco e del selvaggio che dal Settecento ha rivoluzionato i canoni estetici occidentali.
La Storia è un romanzo ambientato a Roma, nel quartiere San Lorenzo e nelle borgate, durante la Seconda Guerra Mondiale, e presenta un impianto tradizionale, erede del realismo ottocentesco. Le vicende narrate seguono un ordine cronologico, il narratore è extradiegetico, quindi equivalente al narratore onniscente dei manzoniani Promessi sposi, con cui La Storia condivide l’appartenenza al genere del romanzo storico. Eppure, il romanzo nasconde elementi di sperimentalismo, tanto nel paratesto (l’epigrafe con i versi del modernista César Vallejo, l’apparato cronologico abbinato all’incipit cronachistico) quanto negli interstizi narrativi, come il bombardamento del palazzo dove vive la protagonista Ida Ramundo con il figlioletto Giuseppe (Usette); il rapporto dell’animale-umano con l’animale-non-umano, in particolare Useppe con la cagna Bella, che è da collegare con l’analoga Immacolatella nel romanzo L’isola di Arturo; la capanna in riva al Tevere, dove si rifugia Useppe nelle pagine finali.
Se è indubbio che l’impianto ottocentesco abbia attirato gli anatemi di parte della critica novecentesca, tanto che Giulio Ferroni si spinge a sentenziare che «il romanzo fallisce tanto per i suoi limiti ideologici, quanto per le sue eccessive ambizioni, che non riescono ad incarnarsi in una struttura adeguata: nonostante pagine di forte intensità, esso trova il suo limite nel rapporto non realizzato tra gli schemi narrativi impiegati e le intenzioni dell’autrice. Fu Pasolini a notare che l’ideologia personale della Morante rivela la sua fragilità proprio “nel momento in cui viene tradotta in termini di romanzo popolare, applicata, volgarizzata”» (Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana, vol. 4, Il Novecento, Einaudi, Torino 1990). In realtà, Morante si ricollega alle origini del moderno, alle riflessioni di Jean-Jacques Rousseau sullo stato di natura, sul selvaggio e sull’educazione del fanciullo, per questo opera un apparente ritorno indietro che le serve, però, per slanciarsi in avanti, verso il tentativo di dialogare con il non umano, che sia la casa distrutta, l’animale o la capanna lungo il fiume.