Pasolini: dalla lingua della poesia alla lingua della realtà

Pier Paolo Pasolini (1922-1975) è un autore emblematico del Novecento perché è passato dalla fase modernista primo-novecentesca di Poesie a Carsarsa (1942), legata alla creazione di una lingua della poesia sul modello di Mallarmé e Pascoli, a una nuova fase, influenzata dal Neorealismo e dall’impegno politico di stampo gramsciano.

In Poesie a Casarsa Pasolini sceglie di scrivere poesie nella lingua friulana di Casarsa (terra d’origine della madre), la stessa lingua impiegata dai trovatori friulani del Medioevo, per trovare una lingua pura che fosse capace di restituire l’autenticità e il mistero a cui mira il poeta, non potendo servirsi della lingua della tribù, svilita a comunicazione.

Negli anni Cinquanta, però, prima con il passaggio al romanzo, Ragazzi di vita (1955), in cui, pur narrando le vicende di ragazzi degli strati popolari residenti nelle borgate romane, rinuncia al dialetto, poi con il libro di poesie, Le ceneri di Gramsci del 1956, cambia poetica.

Nel saggio La confusione degli stili («Officina», 9-10, 1958) Pasolini si interroga su quale lingua si possa fondare la “nuova poesia” (specchio della “nuova cultura”, ovvero la cultura marxista anni ’40-’50): non potendo contare né sulla “koinè strumentale”, creazione della borghesia conservatrice, “la lingua dei giornali, dei rapporti pratici interregionali”, “l’italiano insomma della piccola borghesia che va al potere”, né sul “gergo letterario” delle élite culturali, appartenenti alle “avanguardie borghesi”, “un’innovazione letteraria determinata da una nuova cultura nel suo farsi, dovrebbe presentarsi come atto politico contrario ad ambedue queste tendenze”.

Pasolini parla qui dell’impegno morale ispirato in lui dall’esempio di Gramsci, dalla sua concezione del pensiero marxista, che lo ha portato a rinunciare alla “libertà stilistica” novecentesca, all’assunzione mallarméana di una “lingua privata” della poesia, per un nuovo sperimentalismo stilistico che presupponesse “una lotta innovatrice non nello stile ma nella cultura e nello spirito”.

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