La nascita dell’antiretorica. Dal verosimile al vero
«Prends l’éloquence et tords-lui son cou!» (Prendi l’eloquenza e torcile il collo!) prescrisse Paul Verlaine nella sua Ars poétique (Arte poetica), scritta nel 1872 e pubblicata postuma nel 1882.
Eloquenza è un sinomino di retorica, ovvero «L’arte e la tecnica di parlare o scrivere con efficacia, in modo da persuadere e commuovere gli uditori o lettori» (Treccani). L’imperativo di Verlaine suggella la fine di una battaglia contro la retorica, inziata dal movimento romantico.
Ora, mentre stavo riascoltando la videolezione che creai durante il primo confinamento (il 3 aprile 2020) sulla nascita della retorica, mi è sorto un dubbio, che forse potrà sciogliere chi avrà letto questo articolo.
Per Platone oggetto della retorica è il verosimile, mentre il vero è oggetto della filosofia. Ora, il dubbio è: non sarà che l’arte ha potuto fare a meno della retorica nel momento in cui il suo obiettivo, passando dall’estetica antica all’estetica moderna, è mutato? Se prima lo scopo dell’arte era rappresentare il verosimile (l’uva di Zeusi), dal Romanticismo in poi è divenuto quello di cogliere il vero («l’utile per iscopo, il vero per soggetto», Manzoni). In effetti, secondo Hegel e Leopardi, l’arte nella modernità muore nel momento in cui diventa filosofia.