Le “vaghe donne” dedicatarie del Decamerone
È consueto celebrare con enfasi la dedica del Decameron alle donne innamorate, che ha fatto parlare di un Boccaccio proto-femminista. Gli studiosi e le studiose, però, mentre hanno sottolineato questa inaudita apertura al mondo femminile, non hanno mancato di notare la vena misogina di alcune novelle (soprattutto nelle ultime tre giornate) o la riproposizione dell’immagine della filatrice entro le mura domestiche tipica della società medievale (e non solo): alle donne prive della guida dei maschi sono affibbiati aggettivi non proprio carini, come «mobili, riottose, sospettose, pusillanime e paurose» (Intr. 75).
La dedica alle donne doveva funzionare innanzitutto come una dichiarazione d’intenti retorica, come a dire che l’opera che ci si apprestava a leggere era d’intrattenimento e, vista la scrittura in volgare, destinata anche ai non esperti di latinorum. D’altra parte, il grande formato scelto da Boccaccio per il suo autografo corrispondeva a quello dei libri universitari, da leggere su un leggio come le opere dotte[2]; è forse questa la prova inconfutabile che Boccaccio avesse destinato almeno il suo manoscritto (l’attuale Hamilton 90, conservato a Berlino) a un pubblico intellettuale, molto diverso dalle decantate donne, in genere poco alfabetizzate (ma che spesso partecipavano a sedute di lettura ad alta voce, guidate da una lettrice, il che moltiplicava la fruizione). Un pubblico diverso anche da quello dei mercanti, che non si potevano certo portare appresso, a cavallo, un librone di quelle dimensioni nei loro viaggi d’affari.
Tratto da Johnny L. Bertolio, Le signore del Decameron (e i loro corpi) #1