Orlando furioso di Ludovico Ariosto: perché in audiolibro?

Credo proprio che debba far ascoltare tutto l’Orlando furioso ai miei studenti (si può scaricare qui), come opera emblematica del Rinascimento italiano. Ascoltare, sì, e non leggere. Perché, oltre che per esser letto, il poema fu composto da Ariosto per essere ascoltato, come ogni poema, sin dalle origini della poesia epica, che infatti fu poesia orale prima che scritta. E tutto, sì, perché i classici vanno letti nella loro versione integrale, per comprenderne e apprezzarne appieno struttura, stile e contento, ma soprattutto per innamorarsene.

Per chi desiderasse conoscere le motivazioni personali di questa mia scelta (ancora in forse: lasciatemi il beneficio del dubbio), che da un punto di vista didattico farebbe inorridire qualsiasi insegnante ligio al programma, dirò che ho iniziato ad amare i classici, scritti con quella loro lingua così antica e spesso incomprensibile a prima vista, solo quando ho iniziato a leggerli per intero, quindi nella loro integralità (I Malavoglia, il Decameron, l’Asino d’oro), e ad ascoltarli tutti, sino alla fine (Divina Commedia, Les misérables).

Ho iniziato ad amarli, intendo, come si amano le opere d’arte, cioè quando si è in grado di coglierne la bellezza e di lasciarsi trasportare in un infinito, ininterrotto dialogo con loro, proprio come facciamo con l’amore della nostra vita; ho iniziato ad amarli quando li ho amati  per quelli che sono e non per quello che insegnano.

Mentre all’inizio, quando iniziò a sbocciare il mio amore per la letteratura, a farmi cogliere la bellezza dei classici furono i critici, che li analizzavano e me li spiegavano così bene, cioè mi dicevano perché erano grandi, in questo, quello e quell’altro punto, dove facevano riferimento a quel tal personaggio o episodio storico e riprendevano quel tal modello, rinnovandolo o, addirittura, superandolo. All’epoca non leggevo quasi i testi: in classe ascoltavo solo l’analisi dell’insegnante, non prestando quasi attenzione alle parole dell’autore, se non dopo che l’insegnante me le aveva illuminate. E a casa non rileggevo neanche il brano – troppo difficile e noioso – ma mi immergevo nella lettura della scheda analitica, delle pagine di critica che accompagnavano i testi nella mia antologia preferita, un cult per molte generazioni, ovvero il Il sistema letterario di Guglielmino-Grosser. Questo almeno in quarta liceo, perché in quinta le cose sono cambiate, proprio grazie alle prime letture integrali di classici italiani, assegnateci durante l’estate dall’insegnante.

In effetti, il primo classico dei secoli passati che ho letto integralmente, a parte quelli stranieri (I dolori del giovane Werther e Il ritratto di Dorian Grain, letti già durante i primi anni del liceo, grazie alla traduzione che evidentemente me li rendeva più familiari e accessibil), il primo classico che ho letto, dicevo, dunque, dev’essere stato il romanzo di Verga I Malavoglia, affrontato durante l’estate fra il quarto e il quinto anno, assieme a Uno, nessuno e centomila, su ordine della mia maestra letterar-jedi*, prof.ssa Danila Saracini (tuttora in servizio al Liceo “Galilei” di Ancona – beato chi ha ancora la fortuna di averla come insegnante!). Tuttavia, avevo 17 anni e I Malavoglia sono un libro dell’Ottocento, non certo un capolavoro del Cinquecento o del Trecento: quelli, sì, davvero impegnativi.

Il primo vero capolavoro antico, di quelli che – per capirci – nelle antologie scolastiche hanno mezza pagina occupata dalle note esplicative e che letti così fanno venire l’orticaria, fu il Decameron. Avevo 19 anni e frequentavo il primo anno di Lettere, in attesa (all’epoca pensavo) di passare a Scienze della Comunicazione (a farmi cambiare idea ci pensarono poi, durante il corso dell’anno, le entusiasmanti lezioni di altri grandi maestri letterar-jedi – Pazzaglia e Guglielmi su tutti). Lessi il Decameron in settimana bianca, ad Aprica, di sera, dopo intere giornate di sci, mentre soffrivo per amore. È stato lì, leggendo il capolavoro di Boccaccio, che ho capito come bisogna fare per affrontare la lettura integrale di un antico classico italiano e la lettura di ogni sua singola parte, in genere: per la prima lettura non bisogna farsi distrarre e confondere e affaticare dalle note a pié di pagina (in quell’occasione mi aiutò la fortuna: avevo un’edizione Newton & Compton, con pochissime note). Bisogna leggere, anche se non si capisce tutto.

Infine, mi sono innamorato della Divina Commedia, snobbata in maniera arrogante e presuntuosa alle superiori, solo dopo che un compagno dell’Università, Tommaso Gragnato detto “Locusta computazionale”, mi consigliò di ascoltarla con il mio lettore cd portatile. E così feci: passeggiavo per Bologna, fra una lezione e l’altra, con la voce di un bravo attore che mi faceva conoscere tutto l’Inferno, poi mi avrebbe fatto conoscere tutto il Purgatorio e infine tutto il Paradiso.

Ora mi chiedo: se è valso per me, che all’epoca studiavo sugli stessi libri delle superiori e non avevo molta più cultura di due anni prima, perché non dovrebbe valere per tutti? Perché dunque non ascoltare tutto l’Orlando furioso?

* Il maestro jedi per eccellenza è Joda, protagonista della saga cinematografica Star Wars. Un’associazione simile, fra letterati e jedi, è stata proposta da Roberto Galaverni nel suo libro di critica letteraria Il poeta è un cavaliere jedi (Fazi, 2006).

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2 commenti
  1. Sancho Panza ha detto:

    La forza scorre potente in te giovane padawan e, le sue vie infinete sono

  2. Don Chisciotte ha detto:

    Il poeta è un guerriero jedi, dall’anima e dalla penna indomabile.

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