Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785, dal matrimonio di Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria (tra i massimi rappresentanti dell’Illuminismo europeo, autore del saggio Dei delitti e delle pene), con un gentiluomo di lei molto più anziano, il conte Pietro Manzoni. Secondo una diceria, ripresa spesso dai biografi, in realtà Manzoni sarebbe nato dalla relazione extraconiugale della madre con Giovanni Verri, minore dei fratelli Verri, esponenti di spicco dell’Illuminismo milanese. A causa dei dissidi fra i genitori e del disinteresse della madre, fu educato in collegi cattolici, a Merate, Lugano e Milano.

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Agostino – Tu ora ritieni opinabile che le bestie son prive di ragione; vorrei proprio che ne avessi scienza. La nostra discussione eliminerebbe subito questo problema. Ma poiché affermi di non averne scienza, susciti un lungo discorso. Non è un argomento che, sfuggito, ci consentirebbe di raggiungere i risultati propostici con quella logica consequenzialità che giudico necessaria. Abbiamo spesso visto le bestie domate dagli uomini, intendi che non soltanto il corpo della bestia, ma anche l’anima è talmente assoggettata all’uomo da divenire, per una certa sensitività e addestramento, strumento del suo volere. Dimmi dunque se è possibile, secondo te, che una qualsiasi bestia enorme, o per forza ferina o per mole, oppure particolarmente sviluppata in qualche aspetto della sensitività, tenti ugualmente a sua volta di assoggettarsi l’uomo. Eppure molte bestie sono capaci, o per forza o per insidia, ad uccidere il suo corpo.

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I manuali scolastici di letteratura, filosofia, storia e altre materie simili hanno lo stesso problema dei programmi informatici: si presentano con un aspetto fittizio, un’interfaccia illusoria.

Il manuale riduce la complessità dell’opera autoriale in brani esemplificatori, il programma riduce la complessità del codice in una serie di operazioni eseguibili da chiunque.

Il manuale e il programma non rivelano la verità del codice, che esso sia l’opera nella sua scrittura cifrata o la sorgente del programma nel suo linguaggio di programmazione.

Il manuale e il programma non ci dicono cosa il codice intendesse significare, quale percorso logico segue, ma ne danno un’interpretazione utilitaristica. Il manuale e il programma informatico sono orientati all’utente. Facilitano l’uso ma non educano la mente alla conoscenza dialettica, al pensiero critico.

Chi ha una laurea nella materia che insegna, deve essere in grado di smontare il manuale scolastico e servirsene come uno dei tanti strumenti per condurre chi apprende nel cammino della conoscenza dialettica, fornendogli il metodo critico. Lo stesso deve poter fare con i programmi che usa per insegnare a leggere, scrivere, calcolare, ecc. Deve conoscere il linguaggio di programmazione e avere a disposizione programmi open source, con codice aperto, per avere la possibilità di modificarlo e poterne illustrare il funzionamento a chi apprende.

È fondamentale conoscere le opere che si insegnano nella loro interezza e complessità (avvalendosi dei testi universitari che continuano a eplorarla oltre che dei manuali che la antologizzano), tanto quanto è necessario conoscere i linguaggi di programmazione. Se nel primo caso dovremmo essere attrezzati, tutti noi insegnanti, nel secondo dobbiamo pretendere di esserlo.

“C’è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera.” Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia, Scritti filosofici, Einaudi 1995, p. 80.

Il fenomeno storico della globalizzazione, intesa come diffusione a livello globale dello scambio di capitali, merci, informazioni, persone, è iniziato alla fine del 1800, è conseguenza dell’affermazione del Capitalismo, con l’annessa ideologia del libero mercato (liberalismo), su scala mondiale, ed è suddivisibile in tre fasi.

La prima fase è caratterizzata, sul piano politico, dall’imperialismo dei Paesi coloniali, in particolare di Inghilterra, Francia, Paesi Bassi, favorito, sul piano tecnologico, dalle innovazioni della seconda rivoluzione industriale (treno, battello a vapore, motore a scoppio, elettricità).

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In Italia, durante il periodo del Decadentismo, che va dal 1880 al 1900, nell’accezione ristretta, o dal 1880 al 1945, nell’accezione estesa, si affermò la figura del poeta “vate”, in particolare con Gabriele D’Annunzio, il Vate per eccellenza. Anche se non fu il primo né l’unico. Analizzeremo questa figura letteraria così come si configura in Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio e Annie Vivanti, iniziando dai primi due. Prima però facciamo un passo indietro.

Chi è il poeta vate? Breve excursus dall’antichità alla modernità

Il termine vate deriva dal latino vates, che ha la stessa radice di vaticinio, profezia. Il vate, quindi, è il profeta. Che c’entrano le profezie con la poesia? Innanzitutto, in origine poesia e religione non erano distinte, le profezie erano pronunciate e trascritte in versi. In particolare, il poeta è un vate perché è un tramite fra la divinità e l’umanità, è un sacerdote in grado di ingraziarsi gli dèi per condizionare il destino, il fato del suo popolo.

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Trascrivo un brano del romanzo di Grazia Deledda, Canne al vento (1913). lI servo Efix, protagonista dell’opera, si abbandona a una fantasticheria gotica (tipica del tardo romanticismo), che è anche una spia degli interessi etnografici (si veda il riferimento alle panas) dell’autrice. Inoltre è evidente il suo superamento del verismo in direzione di quell’attenzione morbosa agli stati patologici, ossessivi e di quella mescolanza con il fantastico che sono le cifre distintive del Decadentismo europeo (si pensi al patto diabolico di Dorian Grey). Il fatto che il romanzo sia del 1913 conferma la tesi, sostenuta da alcuni studiosi, che il Decadentismo proseguì oltre il 1900, pur essendo stato il ventennio 1880-1900 il suo periodo d’oro, mentre la tendenza tipica del primo Novecento fu il Modernismo.

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